Sono diversi anni che l’Europa ha smarrito completamente la strada per la competitività, continuando ad inseguire una visione demagogica e populista che porta alla sostanziale deindustrializzazione del nostro Continente». Antonio D’Amato, presidente della Fondazione Mezzogiorno, lancia un vero e proprio allarme sul futuro dell’industria italiana ed europea. A Bruxelles e a Strasburgo sta andando sempre più spesso: sia nel suo ruolo di presidente dell’European Paper Packaging Alliance, sia perché con il suo gruppo, la Seda International Packaging, di cui è presidente e amministratore delegato, è protagonista di quel Green Deal che punta a emissioni zero entro il 2050. «Una politica che è un mix di ideologia, demagogia, estremismo ambientalista, unita ad una crescente deriva politico elettorale in vista delle elezioni Ue del 2024. C’è una totale assenza di visione strategica di quello che l’Europa deve essere. Il risultato? Uno solo: il rischio, in tempi brevi, di un vero e proprio suicidio industriale.
Parole durissime…
L’Europa si sta impoverendo e indebolendo sempre più rapidamente. Il percorso si era già avviato quando l’eccesso di regolamentazione aveva spinto a delocalizzare nei paesi dell’Estremo Oriente la nostra manifattura, illudendoci di poter mantenere in Europa ricerca, innovazione, qualità della vita e alti standard di welfare ma dimenticando che manifattura, ricerca e innovazione sono indissolubilmente legate. È così che abbiamo cominciato a perdere competitività e capacità di innovare e fare ricerca.
Invece di invertire la rotta stiamo andando in una direzione ancora più sbagliata?
La situazione è peggiorata nel corso di questa legislatura europea: aver assorbito nel Green Deal le politiche industriali, agricole ed energetiche ha fatto prevalere una vera e propria politica di deindustrializzazione che, al tempo stesso, ha impatti molto negativi sull’ambiente e sulla salute del pianeta e destabilizza la tenuta sociale ed economica del nostro continente. Dal progetto Fit for 55 sono partite una serie di direttive che spaziano dall’agricoltura all’energia, dalla chimica all’automotive, al packaging, coinvolgendo tutte le filiere industriali e penalizzando ovviamente di più i paesi a più forte vocazione manifatturiera, Italia in testa.
Gli Imprenditori Italiani da tempo stanno lanciando l’allarme: Industria in pericolo, occupazione idem. Trovate ascolto?
No, e non siamo i soli. Sono molte infatti le voci dell’industria europea che non trovano ascolto, e tutto questo è grave e paradossale. A dicembre finalmente la presidente Von der Leyen per fronteggiare le sfide di Usa e Cina aveva dichiarato di voler rilanciare la competitività dell’industria europea. Mi sembra un importante passo in avanti, che però rischia di essere vanificato dall’accelerazione con la quale si stanno approvando direttive e regolamenti che invece smantellano l’industria europea, con conseguenze sociali pesanti. Quale sistema industriale vogliamo rilanciare
2050 se nel frattempo lo stiamo demolendo? E tutto questo quando l’industria europea, e soprattutto quella italiana, sono leader mondiali nella riduzione di emissioni di CO2, nell’innovazione di tecnologie sostenibili e nella realizzazione del più avanzato sistema di economia circolare del pianeta.
Automotive, packaging: basta con l’endotermico del 2035, il riuso al posto del riciclo. Scelte che hanno una motivazione scientifica?
Assolutamente no. Puntare sull’auto elettrica non solo ci consegna alla Cina, che ha il monopolio delle materie prime strategiche, ma è una scelta tecnologicamente sbagliata, che inquina ancora di più. Lo stesso vale per il riuso dell’imballaggio al posto del riciclo, settore dove l’Italia è leader mondiale di sostenibilità. Abbiamo raggiunto già nel 2019 l’86% di materiale riciclato, quando il target Ue è l’85% al 2030. Rispetto all’imballaggio monouso i packaging riutilizzabili hanno un impatto fortemente negativo: fino al 177% in più di maggiori emissioni di Co2; 235% in più di consumo di acqua potabile. Senza contare l’impatto negativo sulla salute del consumatore e sulla su quello alimentare. Per questo è irrinunciabile oggi affrontare da subito la questione del nostro futuro industriale, economico e competitivo.
La transizione ambientale ha poi bisogno di molte risorse…
Certo, ma solo se la transizione comporta un misurabile miglioramento ambientale risorse e tempi devono essere adeguati a consentire la riconversione tecnologica e industriale. Quando però la transizione anzichè migliorare peggiora l’impatto ambientale, come purtroppo si sta verificando sempre più spesso, non ci sono soldi e tempo da sprecare. È sbagliato e non va fatto. Il pianeta è una priorità troppo seria per essere affrontato con ideologia e approssimazione. Occorrono scienza, innovazione, ricerca e tanti investimenti che solo una solida economia circolare può mettere a disposizione.
Vede quindi un’Europa in crisi?
Mai come oggi il mondo ha bisogno di più Europa, ma di un’Europa che sia più forte sul piano politico, più competitiva su quello economico e più efficace sul piano istituzionale. Ne abbiamo bisogno per contribuire a garantire stabilità, governabilità e pace in un mondo sempre più in disordine. Per questo è indispensabile uscire dal guado nel quale ci troviamo oggi.
E dunque?
Credo che la sovranità energetica, alimentare e l’indipendenza economica siano valori fondamentali per difendere la nostra democrazia. Su queste cose non si può giocare facendo demagogia e campagna elettorale.