Rispetto a 10 anni fa, affrontiamo oggi “un quadro per certi versi più preoccupante, in quanto i divari si sono allargati e la questione meridionale è diventata ancor più chiaramente parte di una più ampia questione nazionale”. Lo mette per iscritto Banca d’Italia nel rapporto “Il divario Nord-Sud: sviluppo economico e intervento pubblico”, curato dagli economisti di Palazzo Koch, presentato durante un evento dell’istituzione di Via Nazionale alla presenza del governatore Ignazio Visco.
Banca d’Italia registra come a partire dagli anni ’80 sia progressivamente diminuito il peso economico del Sud, evidenziando tre punti critici in particolare: una crescente difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile, una riduzione dell’accumulazione di capitale, in precedenza fortemente sostenuta dall’intervento pubblico, e una minore crescita della popolazione rispetto alle aree più avanzate del Paese dove si sono concentrati i flussi migratori.
Ma non finisce qui.
Supportato da un’analisi metodologica rigorosa, dal rapporto emergono le ragioni di un divario inalterato nella sua struttura di base, a cominciare dai ritardi nell’istruzione e nella formazione. Il governatore Ignazio Visco parla del “più ingiusto tra i divari”. “Lo ripeto da decenni – afferma – Non si possono accettare al Sud livelli di istruzione più bassi rispetto al resto del Paese ed è sbagliato, come si osserva spesso anche da specialisti della materia, non credere ai test Invalsi, Sono al contrario fondamentali per capire le differenze. Il problema, dunque, non è dei giovani meridionali o delle loro capacità intellettive ma di organizzazione del sistema formativo”.
Il Rapporto concede poco , come qualcuno fa giustamente notare, ai tentativi di una impostazione diversa del confronto sulla questione meridionale (il Sud nel Mediterraneo allargato). La Banca centrale sta sui dati e i dati.
Secondo lo studio di Bankitalia, “il settore privato meridionale, già fortemente sottodimensionato, si è ulteriormente contratto: al Sud sono accentuati i tratti tipici del sistema produttivo nazionale, tra i quali il ruolo preponderante di micro imprese e di attività a controllo familiare, nel complesso poco dinamiche e meno in grado di sfruttare le nuove tecnologie digitali”. Ora, queste caratteristiche, “unite a fattori di contesto sfavorevoli come i tempi elevati delle procedure di recupero dei crediti per via giudiziale, si traducono in maggiori difficoltà ad accedere al credito e ad altre forme di finanziamento”.
Sulle difficoltà economiche del Mezzogiorno pesano pure gli ampi ritardi nella dotazione di infrastrutture e nella qualità nei servizi pubblici erogati sia dagli enti locali, sia dallo Stato attraverso le proprie articolazioni periferiche. Tali divari riflettono in parte una carenza di risorse che si è aggravata nel decennio precedente lo scoppio della pandemia, durante il quale la politica di bilancio nazionale è stata in prevalenza orientata al consolidamento dei conti pubblici”.
Il Pnrr può rappresentare la chiave di volta? Il Governatore lo auspica. “La nuova stagione progettuale avviata con il Piano nazionale di ripresa e resilienza offre una straordinaria opportunità per aggredire i fattori di ritardo della nostra economia, certo per la maggior parte non nuovi, e rafforzare la coesione territoriale del Paese, un obiettivo permanente, e non solo un’aspirazione, della nostra storia unitaria”. Per riuscirci serve uno “Stato complementare” che aiuti cioè la crescita anche al Sud dell’iniziativa privata.