Ad ogni ciclo di recessione il Sud arretra”. Questa valutazione è contenuta nel Country report con cui la Commissione Europea ha accompagnato il recente documento sulle Raccomandazioni-paese per l’Italia. Non c’è regione delle otto del Mezzogiorno che superi o almeno si avvicini sensibilmente alla media Ue-27 negli indicatori fondamentali, dal pil pro capite al potere di acquisto, dalla produttività alla capacità di spesa. “Non mi sorprende” osserva Antonio D’Amato, già presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro ed ex numero uno di Confindustria, ora alla guida della Fondazione Mezzogiorno.
La coesione appare come un traguardo che, invece di avvicinarsi, tende a spostarsi sempre in là. I fondi e i meccanismi del Pnrr possono cambiare lo scenario?
Guardi, se mettiamo insieme Sud e Pnrr, occorre partire innanzitutto da una premessa. Ed è questa: se l’Italia ha avuto le risorse che ha avuto, è perché la stabilità finanziaria del Paese è indispensabile per la tenuta finanziaria, e quindi politica e istituzionale, dell’Europa. Questo era vero due anni fa ed è ancor più vero oggi, con il nuovo quadro geopolitico determinato dall’aggressione russa all’Ucraina. Il debito pubblico italiano è oggi ancor più elevato che non due anni fa e non possiamo fare finta che questo non sia un problema, per onestà nei nostri confronti e per rispetto nei confronti delle nuove generazioni.
È la crescita del debito pubblico a tagliare le gambe al Sud?
Non direttamente. Finisco il ragionamento.
Prego.
Per rendere sostenibile il debito pubblico italiano non c’è altro modo che puntare sul tasso di occupazione della popolazione attiva. Il debito pubblico italiano non si rimette in equilibrio se il tasso di occupazione non raggiunge almeno quota 70%.
La nostra media nazionale è solo del 60%, costituito da un 72-75% delle aree del Nord e dal 40-42% di molte aree del Mezzogiorno.
Appare quindi evidente che solo facendo crescere il Mezzogiorno di almeno 10 punti nel corso dei prossimi 5 anni possiamo tendere a raggiungere l’obiettivo del 70%.
I margini di ulteriore espansione del crescita al Nord dei paese non possono ch essere frrizionati in ragione dalle saturaizone del territorio e anche della diposibilita della forza laovoro, laddove il Mezzogiorno ne è ricco, ponendosi quindi come l’area a maggiore potenziale di crescita.
In Europa solo l’Italia e la Grecia si attestano al 60% del tasso di occupazione laddove tutti gli altri paesei euripe, inclusi quelli dell’erst, supernao il 70%.
È solo tenendo ferma questa cornice che possiamo interpretare il quadro economico, sociale e politico che abbiamo di fronte e agire di conseguenza.
A proposito di azione, qual è il suo giudizio sull’attuazione del Piano?
Bisogna riconoscere al Governo che la gestione del Pnrr cade in un momento particolarmente complesso, sia per ragioni di turbolenze della scena politica italiana, ormai in piena fase eletorale, sia per l’aggravarsi del quadro internazioanle reso ancor più difficole per la crisi in Ucraina.
Ciò detto, non possiamo non essere all’altezza delle ambizioni e della necessità di un Paese che deve tornare a crescere a ritmi significativi. Per segnare un cambio di passo nell’attuazione del Pnrr le cose da fare sono tante, tuttavia ne individuo tre come prioritarie.
Quali?
Le risorse del Pnrr sono risorse a debito e vanno restituite ed è per questo che vanno investite con l’obiettivo di realizzare una sostanziale crescita del Pil e del gettito fiscale. Per raggiungere questo obiettivo occorre innanzitutto garantire l’addizionalità degli investimenti privati in una logica di partenariato: nella generale ridefinizione delle filiere globali occorre ricollocare l’Italia e il Mezzogiorno al centro dell’attrazione degli investimenti esteri diretti, occorre cioè favorire l’insediamento di fabbriche e centri di ricerca e smetterla di assistere al mero acquisto dei nostri marchi.
Gli altri due punti?
Occorre superare l’impostazione a “silos” dei vari progetti del Pnrr, ora inchiodati su una spinta verticalizzazione degli interventi, per favorire quanto più possibile l’effetto sinergico, soprattutto su quei territori maggiormente suscettibili di un maggiore tasso di crescita.
Da ultimo occorre concentrare tutti gli sforzi e l’impegno dell’intero sistema Italia sull’obiettivo di reaiuzzare la crescita del Pil e del tasso di occupazione della popolazione attiva di almeno il 15% entro i prossimi 5 anni.
È per questo che occorre una fortissima capacità di coordinamento e di regia presso Palazzo Chigi, proprio per superare le lentezze e le debolezze della pubblica amministrazione e degli enti locali, ed è per questo che è urgente realizzare quelle riforme che sono indispensabili per rendere competitiva e attrattiva di investimenti la nostra Italia.
I Governatori del Sud si sono di recente lamentati, sottolineando l’errore di tenere fuori le Regioni dall’attuazione del Pnrr. Cosa ne pensa?
Abbiamo alle nostre spalle l’esperienza dei Fondi strutturali e dei Fondi di coesione, risorse che soprattutto le Regioni del Sud hanno dimostrato di non saper spendere. Tale incapacità di progettazione e di esecuzione non solo è un danno per la nostra economia, è anche moralmente intollerabile. Non è possibile vedere che le Regioni che più hanno necessità di investire per la crescita non sappiano utilizzare i fondi a loro disposizione. Nella gestione del Pnrr non si tratta quindi di assistere chi dimostra di non saper spendere e investire, si tratta piuttosto di concentrare le risorse centralizzandone programmazione, progettazione, controllo e attuazione.
L’anno scorso la Fondazione Mezzogiorno ha presentato al Governo il Progetto “G.r.e.e.n – Great Resilience Enviromental East Naples”. Di cosa si tratta?
Un unico progetto di sistema in grado di coniugare sviluppo economico, rigenerazione urbana e benessere sociale nell’intero territorio che si estende dall’area orientale di Napoli fino alle porte della Costiera Sorrentina. Composto da 115 interventi e azioni, il progetto prevede investimenti per un ammontare di 8,3 miliardi di euro, di cui 1,3 da investimenti privati, 2 già finanziati su fondi Pon e Por e circa 5 finanziati a valere su tutte e sei le canne d’organo del Pnrr.
Secondo stime Svimez, in 4 anni il Pil campano potrà registrare oltre 11 punti in più di Pil e un’occupazione a regime di 150 mila occupati, al netto dell’occupazione delle ore uomo cantiere. Mi pare un buon esempio di quello che si intende quando si parla di collaborazione pubblico-privato e di sussidiarietà orizzontale.