“Questo è un momento in cui si giocano i destini dell’Italia, dell’Europa e, io temo, anche del mondo. Serve un deciso cambio di passo, a cominciare dalla classe dirigente e da noi, uomini e donne del Sud, che invece di criticare altri faremmo bene a imparare a lavorare insieme e uniti”. Il presidente della Fondazione Mezzogiorno, Antonio D’Amato, indica responsabilità, traccia scenari e individua emergenze (da “disinnescare con urgenza”) nel corso del suo intervento alla seconda edizione di “Sud&Nord. Villa Nitti accorcia le distanze”, la tre giorni di dibattiti e analisi promossa da Fondazione Nitti e Fondazione Merita a Maratea tenuta dal 23 al 25 giugno.
D’Amato ha introdotto la tavola rotonda dedicata al tema “Transizione verde e tessuto produttivo” e, nel farlo, ha subito messo in chiaro quanto il tessuto produttivo europeo rischi di essere messo in ginocchio da una transizione non verde ma “demagogica e populista”.
GREEN DEAL MA SENZA IDEOLOGISMI
“Il Green deal così come si sta configurando – spiega l’ex numero uno di Confindustria collegato in videoconferenza con la platea del meeting di Maratea – è il risultato di un’onda alimentata più dalla demagogia e dall’ideologia che non dalla ricerca scientifica e da dati documentati. Nessuno l’aveva messa in conto, anche perché sino al luglio scorso, tra pandemia e vaccini, i governi europei avevano comprensibilmente altre urgenze, lasciando campo libero al Commissario Frans Timmermans, salvo poi scoprire che tra Packaging Waste Directive e Sustainable Forest Management tutti i principali capitoli delle politiche manifatturiere e industriali europee sono stati trascinati in una logica di assoluta deindustrializzazione, molto sincrona alle teorie della cosiddetta decrescita felice, per cui ogni forma di economia sostenibile e di economia circolare in una logica ha senso solo se si torna a una sorta di economia silvestre”. Questa, sottolinea D’Amato, “non è l’unica via per salvare il pianeta, questa è una strada che oltre a produrre disastri sociali e geopolitici, porta anche danni colossali per l’ambiente”.
DEINDUSTRIALIZZARE EQUIVALE A MORIRE
Ora, fa osservare l’industriale, il livello di consapevolezza diffuso è tale per cui le pericolose conseguenze di politiche ispirate all’ideologia della decrescita stanno facendosi visibili a tanti, ai governi e all’opinione pubblica. “Va sventato il pericolo di una deindustrializzazione dell’Europa e – ricorda D’Amato alla platea – si badi bene che non è la prima volta perché già negli anni ’90 la rigidità di certe norme ha finito per penalizzare la competitività del nostro tessuto produttivo favorendo dumping sociale e ambientale di economie che a un metro dai confini europei producevano inquinando mille volte di più. Si è così finito per favorire un processo di delocalizzazione di interi pezzi del sistema produttivo europeo, della chimica di base, dell’industria siderurgica e di quella tessile. Ritornare su quegli errori oggi sarebbe imperdonabile e probabilmente irreversibile”.
PNRR: URGE ADDIZIONALITà DA INVESTIMENTI PRIVATI
D’Amato focalizza poi il discorso sul Pnrr, che invece di considerare come manna che “risolve tutti i problemi”, va considerato per quello che è: “una grande occasione di investimento, perché si tratta di soldi a debito e dunque da restituire”. Tre sono i principali criteri da seguire per non sciupare la più grande occasione che la storia recente abbia conosciuto per superare, finalmente, i divari territoriali e rilanciare il Paese: potenziare l’addizionalità degli investimenti privati in una logica di partenariato; superare l’impostazione a “silos” dei vari progetti, ora inchiodati su una spinta verticalizzazione degli interventi, favorendo invece una progettualità a matrice orizzontale; potenziare la regia e la capacità di coordinamento per evitare le lentezze degli enti territoriali“.
IL REGIONALISMO HA FALLITO
“Abbiamo alle nostre spalle l’esperienza dei Fondi strutturali e di coesione, fondi che soprattutto le Regioni del Sud hanno dimostrato di non saper spendere e questo non solo è un danno per la nostra economia, questo è anche moralmente intollerabile. Non è possibile vedere che le Regioni che più hanno necessità di investire per la crescita non sappiano utilizzare i fondi a loro disposizione. Serve per questo una cabina di regia fortissima e centralizzata a Palazzo Chigi”.
IL PROGETTO GREEN
Principi e priorità strategiche, quelle indicate da D’Amato, che hanno trovato già una traduzione pratica nel progetto Green, promosso dalla Fondazione Mezzogiorno insieme, tra gli altri, anche in collaborazione con la Fondazione Nitti. “Si tratta di un unico progetto di sistema – ricorda – in grado di coniugare sviluppo economico, rigenerazione urbana e benessere sociale nell’intero territorio che si estende dall’area orientale di Napoli fino alle porte della Costiera Sorrentina. Composto da 115 interventi e azioni, il progetto prevede investimenti per un ammontare di 8,3 miliardi di euro, di cui 1,3 da investimenti privati, 2 già finanziati su fondi Pon e Por e circa 5 finanziati a valere su tutte e sei le canne d’organo del Pnrr. Secondo stime Svimez, in 4 anni il Pil campano potrà registrare oltre 11 punti in più di Pil e un’occupazione a regime di 150 mila occupati, al netto dell’occupazione delle ore uomo cantiere. Mi pare un buon esempio di quello che si intende quando si parla di collaborazione pubblico-privato e di sussidiarietà orizzontale”.