Intervista pubblicata sul Corriere della Sera del 13 marzo 2022
«Il dramma della guerra in Ucraina sta producendo effetti disastrosi che si sommano con quelli del Covid e tagliano le gambe alla ripresa dell’economia. Serve una risposta urgente dell’Europa, che deve rivedere l’agenda delle sue priorità, mettendo ai primi posti una politica comune della difesa e dell’energia. Non ha più senso che ogni Paese segua una propria strategia, con la Francia che punta sul nucleare, la Germania e l’Italia che si scoprono dipendenti dal gas russo e un po’ tutti che, non sapendo che fare, corrono a riaprire le centrali a carbone». Antonio D’Amato, ex presidente della Confindustria (20o0-2004), presidente e ad del gruppo Seda, multinazionale leader del packaging per alimenti, e presidente della Fondazione Mezzogiorno, vede una miscela esplosiva di «prezzi alle stelle e materie prime che non si trovano».
Il suo gruppo produce in Italia, Germania, Gran Bretagna, Portogallo e Stati Uniti, ha tremila dipendenti, ed esporta in tutto il mondo. Che sta causando la guerra?
«Ormai tutti i settori sono colpiti. E difficile soddisfare la domanda che era in ripresa dopo la fase acuta del Covid. Il costo dell’energia ha raggiunto livelli insostenibili. In Italia già pagavamo la bolletta il doppio che negli altri Paesi. Il governo è intervenuto con provvedimenti che hanno attenuato gli aumenti, ma bisogna fare di più, sia su questo sia sugli approvvigionamenti. E soprattutto è l’Europa che deve muoversi».
In che senso?
«Serve una svolta radicale. Con la guerra è suonata la sveglia per un’Europa che per 20 anni è stata un gigante dormiente. Occorrono una politica industriale e una politica energetica che abbandonino le demagogie e le ipocrisie del Green deal. Ci siamo dati obiettivi velleitari, chiudendo colpevolmente gli occhi sui rischi e i pericoli delle tensioni geopolitiche globali».
E l’ambiente?
«Nessuno lo mette in discussione. Ma l’Europa produce solo il 9% di tutte le emissioni di Co2 del pianeta. E la guerra dimostra che la priorità è l’autonomia energetica perché essa è condizione per mantenere la libertà e l’indipendenza delle nostre democrazie. II re è nudo: basta demagogia, perché adesso da un lato non siamo autosufficienti e dall’altro rischiamo il collasso dell’economia».
Pensa che si possa fermare la Russia con le sanzioni?
«In passato le sanzioni non sono mai state risolutive, ma in questo caso non ci sono alternative ed è importante che i Paesi occidentali abbiano messo in campo in maniera condivisa sanzioni di una durezza senza precedenti».
Ma senza ll coraggio di dire basta alle importazioni di gas e petrolio dalla Russia.
«Perché appunto non siamo indipendenti dal punto di vista energetico. E questo dimostra la miopia dell’Europa che non si è mai dotata su questo di una politica comune, rimanendo alla fine tutti più o meno dipendenti dalle importazioni da Paesi non democratici».
Pensa che l’Italia dovrebbe tornare al nucleare?
«Non dobbiamo escluderlo, ma penso che anche su questo ci voglia una strategia comune a livello europeo».
Potremmo fare di più sulle fonti rinnovabili.
«Sì, ma da sole non bastano. Dobbiamo rivedere scelte sbagliate del passato. Da oltre trent’anni non abbiamo una politica energetica né industriale. L’autonomia energetica è invece una questione di sicurezza nazionale, indispensabile per difendere la sovranità, la libertà, la competitività e la tenuta sociale».
Teme tensioni sociali?
«Guardi, tutti vogliamo la pace. Ma affinché questa ci possa essere sono necessari una politica europea di difesa e un sistema economico in grado di assicurare sviluppo e coesione sociale. Mai come oggi il mondo ha bisogno di più Europa, ma di una Europa diversa. Ecco perché bisogna ridefinire l’agenda delle priorità. L’Italia e il governo Draghi possono e devono svolgere un ruolo determinante nella costruzione di un’Europa più unita sul piano politico, più forte sul piano istituzionale, più competitiva su quello economico».