Proposte per il riordino e la semplificazione degli incentivi per lo sviluppo industriale del Paese.
Documento presentato al ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti il 20 settembre 2021
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- RIDEFINIRE IL FUTURO INDUSTRIALE DELL’EUROPA
Le crescenti tensioni che caratterizzano lo scenario geopolitico internazionale rendono sempre più evidente la necessità che l’Europa esca dal guado politico-istituzionale ed economico-sociale nel quale versa da troppi anni.
Per garantire la pace e contribuire a dare stabilità ad un mondo in crescente tensione, l’Europa deve saper essere un soggetto politico autorevole sul piano delle relazioni internazionali. La recente crisi afgana ha confermato che il mondo occidentale non può affidare esclusivamente agli Usa il ruolo di garante dell’equilibrio mondiale.
C’è sempre più consapevolezza oggi della necessità di una politica estera e di una difesa comune. Questo non è possibile se non si compiono significativi passi in avanti nella creazione di un’Unione Europea più unita sul piano politico, più forte sul piano istituzionale, più competitiva sul piano economico e più equa sul piano sociale.
Il conflitto montante tra democrazie sempre più inefficaci e dittature e regimi autoritari con crescenti mire egemoniche, rende cogente ed urgente che l’Europa assuma un ruolo più consapevole e responsabile a livello globale.
Ruolo questo fondamentale anche per affrontare le altre due priorità che abbiamo davanti a noi: la salvaguardia del pianeta e la fame nel mondo.
Negli ultimi venti anni, dopo l’allargamento ad Est, il processo di integrazione europea ha registrato significativi rallentamenti e battute d’arresto. Questo non solo per il progressivo venir meno del comune sentire europeo e per le incertezze del processo di rafforzamento istituzionale, ma anche e soprattutto per l’acuirsi di egoismi nazionali e tensioni centrifughe radicate in un crescente indebolimento economico e competitivo del continente e in un conseguente accentuarsi delle diseguaglianze e delle emarginazioni sociali.
L’accelerazione della globalizzazione degli ultimi due decenni è stata infatti deflagrante per un’Europa che si era illusa di poter delegare la manifattura e la produzione industriale ai Paesi a basso costo nelle aree emergenti del mondo, e al tempo stesso trattenere presso di sé le funzioni più “intelligenti” e i compiti a più alto valore aggiunto quali ricerca, sviluppo e produzioni di qualità.
Ci siamo illusi di poter conservare e migliorare i nostri standard di qualità della vita diventando una società post-industriale e abbiamo dimenticato i fondamentali della storia economica e industriale che, invece, dimostrano chiaramente come ricerca, sviluppo, innovazione e manifattura siano strettamente e indissolubilmente legate insieme.
D’altra parte, la recente crisi innescata dalla pandemia e l’attuale crisi globale legata alla supply chain e alla disponibilità di materie prime nel mondo, confermano i limiti di globalizzazione così estrema e fragile, causa dell’accentuarsi della dipendenza del nostro continente da altre aree del mondo e quindi della nostra debolezza strategica, politica ed economica.
L’Europa deve dunque recuperare una maggiore forza industriale e competitiva a livello globale.
Va ridefinita con urgenza una strategia industriale senza la quale non si possono difendere né il nostro modello di civiltà, né la stessa tenuta sociale e quindi politica europea.
Ad oggi, questa consapevolezza non sembra essere sufficientemente presente né nell’agenda di molti dei governi dei Paesi membri, né tantomeno in quelle della Commissione e del Parlamento europeo.
La definizione del futuro produttivo e sociale dell’Europa è stato delegato al Green New Deal che si pone l’obiettivo di perseguire “target ambiziosi” sul piano della decarbonizzazione, ma non sempre con la coerenza sufficiente per rendere altresì sostenibile il futuro economico e sociale del nostro continente.
Noi siamo convinti che ci sia un legame indissolubile tra la sostenibilità dell’economia e quella del pianeta che ha bisogno di investimenti, tecnologia e scienza per poter essere riqualificato e protetto.
Non si può quindi non rendere compatibile e coerente il processo di transizione ecologica dell’Europa con un progetto di rafforzamento della sua competitività e del suo sistema produttivo.
Spetta all’Italia, che resta una grande economia manifatturiera oltre che un membro fondatore dell’Ue, dare una svolta fondamentale al modo in cui l’Europa disegna il proprio futuro.
Il prestigio di cui godiamo oggi a livello internazionale si fonda sull’autorevolezza con cui il governo Draghi sta affrontando questa fase di crisi e di emergenza ed è accentuato dall’instabilità politica che contraddistingue molti dei principali Paesi europei.
Affinché l’Italia possa determinare in maniera significativa il corso della nuova Europa, giocando un ruolo da protagonista, occorre tuttavia creare da ora i presupposti perché il nostro Paese possa essere più forte e più stabile da punto di vista macroeconomico e più coeso ed equo dal punto di vista sociale.
Il PNRR e i fondi strutturali mettono a disposizione una quantità di risorse come mai prima e che non saranno certo più disponibili in futuro.
Ora è il momento di completare le riforme strutturali per ridare competitività al Paese e, al tempo stesso, realizzare nei fatti una reale politica di convergenza tra Nord e Sud essenziale non solo alla tenuta sociale ma anche la stessa finanza pubblica.
Il rapporto debito pubblico/PIL che in questi due anni di pandemia è nettamente peggiorato può essere riequilibrato solo se l’Italia raggiunge almeno il 70% di tasso di occupazione della popolazione attiva.
- PRIORITÀ MEZZOGIORNO PER L’ITALIA E PER L’EUROPA
Ridare priorità al Mezzogiorno come area nella quale concentrare investimenti pubblici e privati è dunque fondamentale.
Il rilancio dello sviluppo e dell’occupazione nel Sud, in particolare, è indispensabile per rendere stabile la crescita e possibile, in prospettiva, il riequilibrio tra debito pubblico e prodotto interno lordo italiano. A maggior ragione nel momento in cui il Bilancio UE sarà necessariamente appesantito da maggiori oneri per la difesa e per il contrasto al cyber terrorismo cui l’Italia non potrà sottrarsi.
La tenuta finanziaria dell’Italia è il sentiero stretto lungo il quale passa quella della stessa Europa e dell’Euro. Ma la tenuta finanziaria dell’Italia è a sua volta impensabile senza che il Mezzogiorno recuperi i divari in termini di prodotto interno lordo e di occupazione rispetto al resto del Paese.
La convergenza del Mezzogiorno è quindi indispensabile alla tenuta finanziaria della stessa UE. Tale obiettivo deve essere considerato strategico e nazionale e non una mera rivendicazione di una parte del Paese.
Solo portando il tasso di occupazione della popolazione attiva del nostro Paese ad almeno il 70% – obiettivo peraltro già fissato a Lisbona venti anni fa – è possibile che si generi il PIL sufficiente ad assicurare un equilibrio più sostenibile delle finanze del Paese.
I tassi di occupazione in Italia (ISTAT 2019) vedono le regioni meridionali fortemente distanziate da quelle settentrionali e centrali (rispettivamente: 44,8%, 67,9% e 63,7%), con una media nazionale pari al 59%. Si tratta di un valore superiore solo a quello della Grecia (56,3%), e distante più di 10 punti dalla media europea (72,4%) e di 15 punti dal tasso della Germania (76,7%) (EUROSTAT 2019).
È significativo il fatto che un paese come la Polonia, che gode dei vantaggi offerti dalla UE e di un costo del lavoro pari ad 1/3 di quello del Mezzogiorno, abbia addirittura aumentato il tasso di occupazione nell’anno della pandemia (73,6% rispetto al 72,8% dell’anno precedente) e che la Repubblica Ceca, in analoga situazione, abbia un tasso del 75,7%.
È di tutta evidenza che il tasso di occupazione della popolazione attiva nazionale non potrà crescere se non si eleva il corrispondente tasso di occupazione della popolazione attiva del Mezzogiorno ad almeno il 60%.
Ciò significa che l’obiettivo minimo che bisogna porsi è di far crescere il tasso di occupazione della popolazione attiva al Sud di almeno 15 punti in dieci anni.
Obiettivo tutt’altro che utopistico da conseguire, se solo si considera che i margini di ulteriore espansione della crescita al Nord sono limitati sul piano strutturale per ragioni di congestione e densità insediative, oltre che per carenza di forza lavoro, laddove il Mezzogiorno ne è ricco, ponendosi quindi come l’area a maggiore potenziale di crescita.
Una crescita sostenuta dell’occupazione nel Mezzogiorno è il presupposto sul quale si fonda, assieme ad un significativo aumento del PIL nazionale e al correlato contenimento del debito pubblico, un rilancio complessivo dei fattori che determinano, al contempo, la capacità competitiva del Paese e la sua forza di attrazione di consistenti flussi di investimenti internazionali.
Tale crescita, per essere virtuosa, deve essere qualitativa oltre che quantitativa: occorre, in altri termini, recuperare la quota del valore aggiunto manifatturiero degli anni passati e puntare al re-insediamento, con stabilimenti di produzione, dei centri decisionali e di ricerca, unica via per contrastare con efficacia la grande disoccupazione intellettuale dei nostri giovani migliori.
Non è possibile affidare solamente allo sviluppo dell’industria turistica la missione di riequilibrare i divari di crescita e di Pil pro capite. La valorizzazione del nostro patrimonio ambientale e culturale è una grandissima opportunità per potenziare uno sviluppo del turismo a maggior valore aggiunto. Certo non basta a raggiungere gli obiettivi di crescita indispensabili.
I dati più recenti sugli investimenti diretti esteri (IDE) sono quanto mai eloquenti: la quota italiana si attesta sul 2% (per il 58% concentrata nel Nord Ovest e soprattutto in acquisti di marchi con chiusure di fabbriche), a fronte di valori pari al 18% in Francia e al 17% in Inghilterra e Germania (EY Attractiveness Survey, 2021).
In particolare, nell’ultimo decennio, hanno dimostrato grande attrattività paesi dell’EST come la Polonia, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, che rientrano nelle aree dell’Obiettivo 1, ma che possono offrire costi del lavoro e carichi fiscali molto inferiori rispetto al Mezzogiorno.
Le criticità lamentate dagli investitori sono date da:
- carenze di competitività del sistema (mercato del lavoro, burocrazia, giustizia, e fisco)
- carenze di competitività del territorio (costo del lavoro, insufficienti politiche di attrazione degli investimenti)
Sulle carenze di competitività del sistema occorre realizzare politiche generali e riforme strutturali che sono al momento oggetto dell’impegno del Governo e non sono trattate in questo documento.
Non ci proponiamo qui l’obiettivo di esaurire il quadro degli interventi necessari per il pieno recupero dei divari e dei ritardi accumulati dall’Italia e, in particolare, dal Mezzogiorno.
Lo scopo di questo paper è soprattutto quello di evidenziare la necessità di rilanciare un forte sviluppo industriale e manifatturiero del Sud e del Paese cogliendo l’opportunità della ridefinizione e della semplificazione delle politiche di incentivazione.
Le carenze di competitività del territorio hanno fatto sì che gli investimenti esteri si siano indirizzati verso altri sistemi economici, dotati di pacchetti di agevolazioni particolarmente favorevoli, di adeguate politiche di promozione, di una ridotta incidenza del costo del lavoro e del carico fiscale.
In questa prospettiva dobbiamo cogliere l’opportunità data dalla revisione degli incentivi, che dovrebbe procedere di pari passo con la riforma fiscale e con il negoziato in corso con la Commissione Ue sulla nuova Carta degli aiuti: sarà così possibile offrire, in un mix virtuoso, assieme ad efficaci sostegni agli investimenti, una fiscalità e un costo del lavoro decisamente più favorevoli e non difformi da quelli di altri paesi. Solo da un’azione congiunta e addizionale potrà scaturire una decisa inversione di tendenza e una discontinuità positiva nei vantaggi localizzativi nel Mezzogiorno, e una conseguente maggior attrazione di investimenti rispetto al passato.
Tali politiche, come visto in premessa, non vanno inquadrate come un mero sostegno alle imprese, ma come un passaggio obbligato al riequilibrio del rapporto deficit/PIL e, quindi, alla tenuta finanziaria del Paese.
Un secondo fronte su cui intervenire per far recuperare competitività e qualità al territorio è dato dagli interventi sul contesto in cui operano le attività industriali ed i loro attori.
I programmi nazionali, non ultimo il PNRR, e quelli comunitari hanno previsto un cospicuo volume di investimenti sulle rigenerazioni urbane, sulle aree industriali, sulle reti e sulle infrastrutture sociali e di ricerca necessarie a determinare un contesto favorevole all’imprenditorialità ed all’occupazione. Si pensi, ad esempio, alla qualità delle scuole e degli asili nido, ai servizi di trasporti, e così via, campi d’intervento in cui sono stati conseguiti risultati ancora insoddisfacenti a causa dell’estrema dispersione degli interventi e dei ritardi con cui vengono realizzati, il che li rende, in molti casi, inefficaci rispetto ai bisogni che dovrebbero soddisfare.
In presenza di tali fattori è molto difficile che si verifichino effetti macroeconomici di discontinuità sui territori meridionali, con la conseguenza che gli incrementi di PIL che si vengono a generare sono determinati solo dall’investimento stesso e non da una domanda stabile che permane dopo il completamento degli interventi.
L’approccio limitato ai bandi tradizionalmente utilizzato dalle pubbliche amministrazioni, nazionali e regionali, è caratterizzato da frammentazione delle responsabilità e delle stazioni appaltanti, e non assicura in alcun modo né la concentrazione e l’addizionalità delle risorse nello spazio e nel tempo, né la garanzia sui tempi e le procedure necessarie ad attrarre gli investimenti privati. Si determina in questo modo un moltiplicatore sul PIL e sull’occupazione di gran lunga inferiore a quanto sarebbe possibile e necessario soprattutto in aree vaste e fortemente degradate, come alcune zone del Mezzogiorno.
Tali effetti non sono generalmente percepiti né dal decisore pubblico, né dalla pubblica opinione, perché, salvo che per grandi opere puntuali, non si procede, come sarebbe invece assolutamente necessario, ad una reale ed efficace valutazione ex ante ed ex post dell’impatto socioeconomico e occupazionale degli interventi.
Al fine di determinare discontinuità nelle situazioni suddette occorrono, invece, interventi di grande portata, a visione unica, concentrati e con importanti investimenti privati in termini di addizionalità: in una parola, interventi di “sistema”, che la Comunità Europea ben conosce e promuove anche se spesso su ambiti territoriali di minori dimensioni (URBAN), sia per le ridotte risorse dedicate a quei programmi, sia perché spesso in altri Paesi europei i fondi sono ben gestiti e spesi.
Interventi che, date le caratteristiche socio-economiche dell’area obiettivo e la crisi post pandemica, più che di resilienza devono essere di ripresa vera e propria e devono rappresentare una rottura (disruption) con l’andamento passato.
- Un modello di riferimento
In quest’ottica, e privilegiando i principi affermati anche a livello europeo di integrazione, concentrazione e addizionalità, la Fondazione Mezzogiorno, congiuntamente ad altri attori, ha sviluppato un progetto di sistema e di comunità che configura la resilienza e lo sviluppo dell’area di Napoli EST e della Buffer Zone di Pompei in uno scenario a medio/lungo termine (5-10 anni), in cui tutte le progettazioni e gli interventi sono inquadrati e rielaborati nelle linee del PNRR.
Essi sono incrociati a matrice con quelli già in corso e con le risorse finanziarie attivabili con gli altri programmi volti a riqualificare e rigenerare le periferie urbane, i centri storici e le zone rurali, contrastare il degrado e determinare le migliori condizioni di contesto per lo sviluppo, l’attrazione degli investitori e la realizzazione degli investimenti.
L’intervento integrato e sincronico, come il progetto di sistema presentato al Governo dalla Fondazione Mezzogiorno, ed attualmente in corso di valutazione, consente un effetto moltiplicativo ben diverso e stimato dalla SVIMEZ nei seguenti valori:
- l’incremento di PIL a prezzi correnti 2019 in 4 anni è pari a 12,4 miliardi di euro (corrispondenti a circa 11,5 punti percentuali) a fronte di una spesa per investimenti che vale 7,7 punti di PIL;
- il moltiplicatore medio è pari a 1,53, con effetti crescenti nel tempo: si parte da un valore di 1,1 nel primo anno e si cresce a 1,7 per il complesso del piano di investimenti previsto;
- con riferimento agli effetti al di fuori della regione e all’interno del Sud, si valuta che questi siano pari ad ulteriori 2,1 miliardi di euro, pari al 0,74 decimi di punto percentuale di PIL rispetto al 2019;
- complessivamente il progetto determinerebbe un impatto sull’intera economia meridionale di circa 14,5 miliardi, pari ad al 3,7%;
- per quanto attiene l’impatto sull’occupazione regionale, si stima un’attivazione di oltre 150 mila occupati aggiuntivi rispetto al 2019, pari a +8,1%;
- per effetto di quest’ investimento si determinerebbe un incremento del tasso di occupazione 15-64 anni della regione Campania di circa 4 punti (dal 41,5% al 45,4%);
- con riferimento all’intero Mezzogiorno, l’occupazione aggiuntiva è valutabile in circa 180 mila occupati, con un conseguente incremento dell’occupazione del 2,6% e un miglioramento del tasso di occupazione dal 44,8% al 46,3%.
- PROPOSTE PER IL RIORDINO E LA SEMPLIFICAZIONE DEGLI INCENTIVI
LINEE GENERALI
Da quanto detto e nel contesto generale descritto, discende che dovranno essere create forti condizioni di vantaggio per gli investimenti produttivi, da orientare sia al mantenimento e al consolidamento dell’apparato di produzione meridionale, sia all’allargamento della base produttiva.
Va infatti sottolineato che occorre rafforzare il peso e la presenza della produzione industriale e il suo contributo al PIL nazionale per avere sviluppo duraturo e funzionale anche all’arricchimento scientifico e tecnologico del Paese. Non c’è sviluppo senza ricerca e non c’è ricerca senza industria che la promuova e la utilizzi.
Le finalità sono quelle di far rimanere e far sviluppare le imprese già attive sul territorio; far tornare le imprese che hanno promosso processi di delocalizzazione; attrarre investimenti esteri di qualità, che non siano solo produttivi, ma dotati anche di centri decisionali e di ricerca. Andranno, in altri termini, favoriti:
1) i progetti d’investimento delle imprese già localizzate, per mantenere ed implementare le loro produzioni ed evitare delocalizzazioni in aree più vantaggiose;
2) il reshoring di imprese che hanno intrapreso negli ultimi anni processi di delocalizzazione all’estero;
3) l’attrazione di investimenti esteri, possibilmente non solo produttivi, ma dotati anche di centri decisionali e di ricerca.
Per concretizzare l’obiettivo di una più solida e competitiva presenza industriale nel Mezzogiorno, capace di generare con continuità tassi di occupazione crescenti, dovrà essere data risposta a quell’esigenza di revisione degli strumenti di sostegno ripetutamente invocata dal mondo dell’impresa e riconosciuta come ineludibile dallo stesso PNRR che la include, opportunamente, tra le riforme di semplificazione e razionalizzazione della legislazione.
Infatti, il PNRR fa riferimento alla “predisposizione di uno schema di disegno di legge in materia di incentivazione alle imprese”, che dovrebbe dedicare una particolare attenzione “alle attività economiche ubicate nel Mezzogiorno d’Italia”.
La Relazione sugli interventi di sostegno alle attività produttive (MISE) censisce ben 1.252 interventi agevolativi attivi nell’ultimo anno di rilevazione (2019), un dato che include anche interventi agevolativi soppressi o non più attivi, ma che continuano ad erogare risorse a completamento delle concessioni pregresse.
Tale dato indica chiaramente che la strumentazione disponibile per i progetti di investimento di non grande dimensione è frazionata in una serie di potenziali azioni nazionali, spesso dotate di risorse non adeguate e connotate da procedure di acceso complesse. A ciò si aggiungono strumenti regionali spesso rivolti ai medesimi obiettivi.
Una razionalizzazione di questi strumenti e la riduzione del loro numero – concentrando, ad esempio, a scala nazionale quelli che assegnano aiuti lasciando a livello locale solo quelli che rientrano nel regime de minimis o che erogano sostegni di entità limitata – dovrebbe assicurare coerenza tra norme agevolative, finalità delle stesse e fondi stanziati e conferire certezza sui tempi di istruttoria, rendicontazione ed erogazione dei fondi a procedura non automatica.
Sarebbe auspicabile che la responsabilità della gestione del sistema degli incentivi agli investimenti fosse centralizzata in un unico ente e da esso monitorata in modo continuativo con un adeguato servizio informativo per gli investitori. L’ente responsabile (o anche un’agenzia) dovrebbe anche dotarsi di uno sportello istituito presso il MISE e, con la collaborazione del Ministero degli Esteri, presso la rete delle Ambasciate, per promuovere gli investimenti diretti in Italia e informare gli investitori sulle opportunità offerte nelle diverse aree del Paese.
La Relazione del MISE indica che nel periodo 2014-2019 gli investimenti agevolati nel periodo 2014/2019 sono stati mediamente pari a 17,5 miliardi l’anno, di cui 13,9 miliardi nel Centro-Nord (79,7%) e 2,9 miliardi nel Mezzogiorno (16,6%) (0,7 miliardi sono multi-localizzati).
Su questi risultati ha inciso il Credito d’imposta 4.0, fondamentale per il recupero della competitività del sistema manifatturiero del Paese, obiettivo strategico nazionale, ma il cui utilizzo è stato maggiormente concentrato nel Centro-Nord dove è più forte la presenza manifatturiera.
Altrettanto rilevante come obiettivo strategico nazionale, per garantire la competitività e la stabilità finanziaria e sociale, è recuperare i differenziali territoriali del tasso di occupazione attiva e del PIL. È quindi strutturare un pacchetto di strumenti di attrazione di investimenti, “Pacchetto Italia”, funzionale a creare un vantaggio differenziale in grado di convogliare nuovi investimenti nelle regioni del Mezzogiorno.
- LE AZIONI DA INTRAPRENDERE IN MERITO AI PRINCIPALI INCENTIVI
- Credito di imposta Mezzogiorno
- valutazione complessiva: il credito di imposta ha dimostrato di essere uno strumento adeguato per le imprese già in attività.
Sono comunque necessari interventi per renderlo più funzionale ed efficace.
- proposte di miglioramento:
1) mentre è attualmente operativo per gli investimenti fino a 15 milioni di euro, si propone un innalzamento del massimale fino a 20 milioni (e questo lo renderebbe alternativo ai contratti di sviluppo);
2) garantire uno stanziamento finanziario adeguato e pluriennale per favorire un’efficace programmazione degli investimenti ed una migliore visibilità agli investitori;
3) renderlo esente da IRES ed IRAP così come il Credito d’imposta Transizione 4.0;
4) rendere ammissibile al credito anche l’acquisto e/o la ristrutturazione di immobili strumentali, in particolare quelli dismessi;
5) anche per il credito d’imposta Transizione 4.0 ed il credito d’imposta ricerca e sviluppo, strumenti molto utilizzati ed efficaci, andrebbe data certezza di utilizzo e rese più semplici sia la documentazione per l’accesso, sia soprattutto quella necessaria per la fruizione;
b) Contratti di sviluppo
– valutazione complessiva: strumento funzionale per i grandi progetti di investimento (oltre i 20 milioni) ed i programmi complessi.
Tempi e procedure non allineate con le best-practises di altri Paesi europei e non sempre coerenti con le necessità degli investitori
– proposte di miglioramento:
1) dare certezze sulle risorse e contenere i tempi di approvazione nella media europea di 3 mesi;
2) contenere i tempi intercorrenti tra rendicontazione ed erogazione in quelli medi europei di tre mesi;
3) prevedere l’esenzione dei contributi in conto capitale da IRES e IRAP (in analogia al Credito d’imposta Transizione 4.0);
4) introdurre una maggiore elasticità in termini di destinazione delle risorse, tra soggetto proponente e gli altri soggetti aderenti al contatto, specie se le istanze riguardano gruppi. Va introdotto, in particolare, la possibilità che, a causa di mutate condizioni di mercato, il proponente possa riprogrammare l’investimento proposto in più aziende dello stesso gruppo;
5) prevedere, una premialità sull’entità dell’agevolazione nei casi in cui l’investimento comporti la localizzazione nell’area prescelta non soltanto di un impianto produttivo, ma di centri decisionali e di strutture di ricerca e sviluppo.
c) Creazione di un nuovo strumento di incentivazione per start-up e investimenti di più piccole dimensioni
Sarebbe opportuno strutturare per nuove iniziative o per investimenti di più piccola dimensione (da 1 a 5 milioni di euro) o in start- up che potrebbero non trovare nel credito d’imposta adeguate coperture ai propri programmi , norme agevolative che dispongano gli stessi benefici del credito di imposta, ma che prevedano l’erogazione di contributi con procedure di accesso, anche attraverso bandi, che assicurino una risposta entro 3 mesi dalla presentazione dell’istanza sulla base di una documentazione semplificata. La formula del contributo a fondo perduto consentirebbe vantaggi in termini sia di cassa che patrimoniali e non sarebbe condizionata dalle effettive disponibilità e dalla sussistenza di debiti fiscali da compensare.
Sarebbe utile anche in questo caso prevedere una premialità agevolativa nei casi in cui l’investimento comporti la localizzazione nell’area prescelta non soltanto di un impianto produttivo, ma di centri decisionali e di strutture di ricerca e sviluppo
- LE AZIONI PER RIDURRE IL COSTO DEL LAVORO E IL PESO FISCALE
Si è già detto che il costo del lavoro e l’eccessivo carico fiscale sono fattori che appesantiscono notevolmente la competitività delle imprese e pregiudicano gli investimenti esteri diretti.
Si ribadisce che le azioni descritte in questo paragrafo dovrebbero essere inizialmente introdotte nelle aree del Paese in cui il tasso di occupazione è paragonabile a quello del Mezzogiorno per essere poi estese all’intero territorio nazionale, nel medio periodo e quando la finanza pubblica lo consentirà, grazie anche al recupero di deficit ottenuto nel Mezzogiorno.
- Fiscalizzazione oneri sociali
La fiscalizzazione del 30% degli oneri sociali e la conseguente riduzione del costo del lavoro del 10% nel Mezzogiorno, misura già prevista dalla legge di bilancio 2021, deve essere resa strutturale per un periodo di tempo congruo (7-10 anni) per ridurre il differenziale del costo del lavoro rispetto alle altre aree europee più competitive. Questo per favorire non solo il mantenimento degli attuali livelli di occupazione, ma anche il loro necessario incremento. In questa misura potrebbero essere riassorbiti tutti gli altri incentivi già previsti per la nuova occupazione (in particolare giovanile). Ovviamente non dovranno esserci Cap di utilizzo e l’accesso alla misura deve essere automatico.
- Azzeramento addizionali regionali Ires e Irap
Va disposto l’azzeramento delle addizionali regionali Ires e Irap. È paradossale che proprio nelle aree del Mezzogiorno che dovrebbero attrarre più investimenti ed essere destinatarie di misure volte al riequilibrio e alla convergenza, le imprese paghino addizionali maggiori a causa della inefficienza del contesto economico.
- Riduzioni delle aliquote Ires per le imprese esportatrici collocate nel Mezzogiorno
Per favorire il reshoring e per l’attrazione degli investimenti esteri va prevista la riduzione dell’aliquota Ires per le imprese che esportano almeno il 50% della loro produzione, per la parte relativa all’esportato. Anche in questo caso, la misura potrebbe partire immediatamente dalle aree in cui si registrino tassi di occupazione inferiori al 55% della popolazione attiva, per poter poi essere estesa nel medio periodo a tutto il Paese.
6. Creazione di un “Pacchetto Italia”
Il rafforzamento delle politiche di attrazione di investimento e la loro semplificazione e razionalizzazione potranno produrre effetti significativi solo se saranno organizzati in un vero e proprio “Pacchetto Italia” che venga promosso agli investitori nazionali ed internazionali offrendo loro:
- Adeguata promozione delle diverse forme di incentivazione
- Soluzioni localizzative e di accompagnamento sul territorio
- Semplificazioni ed accelerazioni procedurali per la realizzazione in tempi certi di nuovi insediamenti, recupero di pre-esistenze industriali anche su aree da bonificare
Questa attività di promozione e coordinamento, per risultare competitiva con altri Paesi, dovrà essere centralizzata presso il Governo e dovrà essere promossa all’estero, utilizzando la rete delle Ambasciate, da esperti con adeguate competenze e abilità, attraverso uno strumento agile e veloce.